lunedì 16 giugno 2008

Il declino del dialetto napoletano in ambito artistico

Ben vengano gli studi di approfondimento sul dialetto napoletano, quello antico di matrice popolare, per meglio conoscere, sotto l’aspetto culturale, storico, antropologico, le nostre radici.
Ben vengano le ricerche sulla semantica di tale dialetto, per meglio comprendere e gustare espressioni, canti, versi, di vecchia tradizione.
Possiamo paragonare questi studi a quelli che approfondiscono la conoscenza del latino, del greco, dell’ebraico antico o di qualsiasi altra lingua “superata”, allo scopo di penetrare nell’essenza delle civiltà, di cui quei sistemi linguistici erano espressione e di cui noi oggi siamo eredi.
Ci lascia invece perplessi l’attardarsi nel vagheggiare una resurrezione del dialetto avviato al disuso, per contrapporlo, con intenzioni di rivalsa, al sistema linguistico che lo sostituisce.
A noi pare che questo vagheggiamento non tenga presente un concetto così ovvio, che ci vergogniamo a ripeterlo. Cioè che il linguaggio è uno strumento di comunicazione, un mezzo per scambiarsi oggetti e idee, e che come tale si evolve irreversibilmente con l’evolversi dei fattori, delle esigenze, del contesto, che sottendono quella comunicazione.
Applicando questo principio, di una ovvietà assoluta, al caso dei dialetti, che per definizione sono sistemi linguistici usati in ambiti ristretti, ci sembra consequenziale che l’evoluzione verso l’estensione e l’infittirsi della comunicazione fra le varie collettività, porti al loro declino.
Ciò premesso, ci è sembrato interessante andare alla ricerca delle cause del declino del dialetto napoletano di matrice storica e popolare, sia nel campo dell’arte, (soprattutto poesia, racconti, canti, teatro) che nel campo della comunicazione corrente, quotidiana.
Nel presente articolo ci soffermiamo sul declino in ambito artistico, proponendoci di parlare del secondo ambito in un articolo successivo.

Sul declino del “vero” dialetto napoletano nell’arte qui avanziamo una nostra ipotesi. Fino al secondo Ottocento esso era stato un mezzo della espressione artistica (poesia, canto, teatro) di matrice popolare, eccezionalmente efficace. Non pecchiamo di campanilismo se aggiungiamo che forse lo era anche in misura superiore agli altri dialetti.
La trasmissione del relativo patrimonio che si andava accumulando, avveniva oralmente. Il popolo, lontano dall’uso della scrittura, tramandava verbalmente i canti che creava, i suoi racconti, ecc.
Quando nel secondo Ottocento sono sorti i maggiori cantori degli usi, dei costumi, delle tradizioni locali, anche e soprattutto popolari, questi cantori mettevano per iscritto le loro creazioni, e quindi si rivolgevano a coloro che allora leggevano. Per rendere il dialetto intelligibile ai lettori, essi andavano “ritoccando” vocaboli, espressioni, modi di dire arcaici, di fatto incomprensibili, oppure le più veraci espressioni popolari, spesso troppo volgari. Essi, scrivendo, non potevano non usare nei loro componimenti poetico-musicali un filtro di “purificazione linguistica”.
A nostro avviso lo stesso meccanismo ha interessato anche la produzione teatrale.
La forma scritta e l’esigenza di raggiungere anche il pubblico borghese, (compreso quello che andava a teatro in pelliccia), non poteva non “purificare” il dialetto della tradizione. Pertanto, personaggi, storie, valori, tutta la tradizione della Commedia dell’arte, presentata attraverso testi scritti, andò confluendo nelle pochades di Scarpetta e, con ulteriore “purificazione” linguistica, nel teatro di Eduardo.
In conclusione noi riteniamo che la poesia, la canzone, il teatro, tutto quell’impareggiabile patrimonio artistico che ha reso meritatamente Napoli famosa nel mondo, le immortali melodie della canzone storica napoletana, il teatro di Scarpetta e quello universale di Eduardo, tutta l’opera dei sommi geni nostrani dell’arte, mentre si ispirava a modelli popolareschi, nel momento in cui ha assunto la forma scritta, è passata attraverso una rielaborazione dotta, attraverso una purificazione linguistica, per poter essere presentata in un nuovo contesto socio-culturale. Ciò ha relegato il dialetto in ambiti sempre più ristretti, accelerandone il declino. Non va dimenticato che gli autori che conservarono di più l’ispirazione popolaresca, ad esempio Ferdinando Russo per la poesia e Raffaele Viviani per il teatro, furono avversati dalla cultura locale ufficiale, compreso Benedetto Croce.
Arrivando ai giorni nostri, l’attuale produzione artistica in dialetto, quella canora e quella teatrale, ci sembra frutto di uno stanco manierismo poetico-musicale, che sopravvive soprattutto quando si lega agli artisti che la interpretano, (come avviene nella sceneggiata), e comunque resta circoscritta all’uso da parte di frange di popolazione tendenzialmente residuali e culturalmente piuttosto isolate.

Antonio La Gala, 22 settembre 2003

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