sabato 12 ottobre 2013

la leggenda di Donn'Albina, Donna Romita e Donna Regina

Tra le tante storie di fantasmi e di leggende che il popolo partenopeo si tramanda di generazione in generazione c’è la storia di Donn’Albina, Donna Romita e Donna Regina

Donnalbina, Donna Romita e Donna Regina erano le tre figlie del barone Toraldo, nobile del Sedile di Nilo. La madre, donna Gaetana Scauro, di nobilissima origine, era morta molto giovane e il barone, pur rammaricandosi molto per l'estinzione del proprio nome, non riprese moglie. Ottenne come speciale favore, dal re Roberto d'Angiò, che la sua figlia maggiore, Donna Regina, potesse, sposandosi, conservare il suo nome di famiglia e trasmetterlo ai propri figli. Il barone morì nel 1320 quando Donna Regina aveva diciannove anni, Donna Albina diciassette e Donna Romita quindici.
La maggiore era di una bellezza straordinaria, aveva i capelli lunghi e bruni come gli occhi, seri e pensosi, il viso diafano e bellissime labbra molto poco inclini al sorriso, però, era, infatti una personalità austera, con un fortissimo senso del dovere,  molto conscia ed orgogliosa del nome che portava. A volte si sorprendeva a desiderare qualche svago, qualche dolcezza, ma subito si inginocchiava a pregare e a leggere le storie della famiglia ridiventando l'inflessibile giovinetta che tutti conoscevano.
Donnalbina, la seconda figlia, detta così dall'eccezionale bianchezza del volto, era una fanciulla amabile, sorridente, bionda con gli occhi azzurri, slanciata e gentile. Era la dolcezza di casa Toraldo, era lei che dirigeva i lavori delle donne sul broccato d'oro, sugli arazzi istoriati, andando da un telaio all'altro, consigliando e lavorando anch'essa. Era lei che si occupava delle elemosine facendo in modo che ognuno potesse ricevere qualcosa e che portava alla sorella maggiore le suppliche dei poveri, degli infermi, di chiunque chiedesse una grazia, un soccorso.
Si doleva molto per il cuore freddo della sorella maggiore e si doleva per la minore.
Perchè Donna Romita era una singolare giovinetta, mezzo donna e mezzo bambina. Aveva i capelli biondo scuro corti e ricci, il viso bruno come abbronzato, begli occhi verde smeraldo, il fisico scarno di forme, i moti bruschi ed era sempre irrequieta. Il suo carattere cambiava spesso passando dalla più totale indifferenza alla più ardente vivacità, spesso si isolava a pensare, forse a sua madre cui avevano detto rassomigliasse.
Comunque la vita scorreva tranquilla e regolare nel freddo palazzo fino a quando re Roberto scrisse personalmente a Donna Regina dicendole di averle destinato in sposo Don Filippo Capece, cavaliere della corte napoletana.
Un giorno mentre Donna Regina teneva tra le mani un libro di preghiere senza, però, leggerlo, le si rivolse supplichevole la sorella Donna Albina parlandole della sua preoccupazione per la sorellina più piccola la quale soffriva terribilmente per le prime pene d'amore. Regina, scandalizzata e furibonda pretese di conoscere il nome dell'uomo e, quando Albina, tremante ed appassionata le confessò quello del cavaliere Don Filippo, ella comprese con disperazione che anche Albina lo amava.
Nella fredda cappella di famiglia Donna Romita prega con passione ardente la Madonna perchè le faccia dimenticare questo amore senza speranza e mentre piange sconsolata si accorge che anche la sorella Albina è lì presente per lo stesso motivo. Nello stesso momento Regina è sola nella sua stanza, non piange, non prega, è come pietrificata dal dolore.
Arriva la Pasqua e le due sorelle minori si presentano a Regina vestite molto semplicemente per implorare il suo perdono e per chiederle di dare il consenso a che si possano chiudere in convento. Regina allora fa sapere di aver preso da tempo la stessa decisione in quanto resasi conto che Don Filippo la odia.
Donna Regina si alzò, prese lo scettro d'ebano, borchiato d'oro e lo spezzò in due pezzi e, rivolgendosi al ritratto dell'ultimo barone Toraldo gli disse, inchinandosi: - Salute, padre mio, la vostra nobile casa è morta.-

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